"The unexamined life is not worth living"
Socrates
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venerdì 3 gennaio 2014

IL PERDONO


Che cos'è il perdono? La definizione che viene comunemente data asserisce che perdonare è l'atto attraverso il quale la persona dimentica il male ricevuto e rinuncia all'odio e alla vendetta. Ma se si trattasse realmente di un dimenticanza (volontaria o effetto del tempo che passa) allora il perdono si ridurrebbe ad una ignoranza, cioè ad una conoscenza incompleta della persona perdonata e della realtà, la quale invece va sempre affrontata con apertura di spirito e mai evitata. Dunque il perdono dovrà essere frutto di una comprensione profonda dell'altro, dei suoi atti e delle motivazioni e dinamiche che lo hanno spinto a compiere un'azione che ci ha ferito o procurato del male.

Una “comprensione profonda”, cioè un atto che coinvolge sia l'intelletto che il cuore. Come essere umani non siamo sempre capaci di vedere tutte le ragioni che sottendono un'azione e ancor meno di capirle quando il ragionamento è trasportato dalla rabbia e dal dolore; per questo l'uomo non riesce sempre a perdonare. Tuttavia trattandosi di un atto che coinvolge anche il cuore, il perdonare può essere facilitato dal sincero pentimento di colui che reca del male e in modo particolare dall'amore che si nutre per costui. Infatti il perdono appartiene all'amore a causa dell'essenza di quest'ultimo: l'amore è proprio la risposta alla bellezza complessiva di un individuo la quale brilla per colui che ama nonostante i difetti dell'amato.


Proprio perché si tratta di un atto volontario di comprensione e non di semplice dimenticanza, il ricordo del torto ricevuto ritorna alla memoria anche con il passare del tempo, accompagnato dal sentimento di dolore da esso causato; per cui il perdono non sarà mai una fatica definitiva, ma un atto che deve essere costantemente rinnovato.

venerdì 22 novembre 2013

IL CASO ITALIA E IL RECUPERO DEL VOLTO DELL'UOMO


Negli ultimi anni il popolo italiano si è sovente ritrovato a riflettere sul tema dell'immigrazione clandestina, soprattutto in seguito alle numerose stragi avvenute al largo dell'isola di Lampedusa. Il sud dell'Italia, nella maggior parte dei casi, ha dimostrato grandi capacità empatiche dando accoglienza e aiuto a questi uomini e donne, ma nel resto dell'Europa abbiamo assistito ad una continua indifferenza, se non ostilità come nel caso di Malta che sparò su questi uomini per non farli avvicinare alle proprie coste. Ciò ci lascia turbati soprattutto se ci si sofferma a riflettere che sono proprio i paesi occidentali che approfittano della povertà dei paesi del terzo mondo e che spesso ne sono anche la causa.


Un simile fenomeno sta divenendo realtà anche per l'Italia. Per diverse cause,infatti, il Bel Paese è stato lentamente svenduto a diversi stati stranieri (direttamente o attraverso terzi), iniziando dai servizi pubblici per concludere ai giorni nostri con la cessione di quelle aziende manufatturiere che in passato hanno reso il 'Made in Italy' famoso nel mondo. Dopo 150 anni di unità, l'Italia oggi si ritrova frazionata e ad essere possesso di altre nazioni come nel lontano pre-Risorgimento. Questa situazione ha dato luogo ad ondate di emigrazione italiana verso quei paesi che approfittano della povertà di questo paese (e in parte ne sono anche causa) e ad un conseguente aumento dell'ostilità verso gli italiani come dimostrato dalla recente uccisione di un giovane italiano in Gran Bretagna.


Che tipo di società è questa che gode dell'indigenza altrui e che ignora l'essere umano?! Questo è il tipo di benessere che rincorriamo?!


Abbiamo perso di vista l'uomo, l'altro, il prossimo: per dirlo con le parole del filosofo Emmanuel Levinas, abbiamo smesso di guardare al volto dell'uomo. E' il volto nella sua nudità e irriducibilità che ci richiama, che ci ricorda che l'altro non può essere annullato o ricondotto a noi stessi. Il volto ci pone una domanda e ci mette di fronte alla responsabilità che abbiamo verso l'altro.


E' proprio il rapporto con l'altro nella sua dignità di essere umano che abbiamo bisogno di recuperare. Viviamo in un sistema in cui tutto è diventato 'Economia': la politica in cui lo Stato è diventato una grande azienda piuttosto che l'organo che salvaguardia il bene di tutto il popolo; la felicità, la quale è stata tramutata in benessere materiale; le relazioni volte sempre più spesso al vantaggio di tipo economico; la persona diventata ormai consumatore, cliente e anche prodotto. Dobbiamo farci costruttori di una nuova società  capace di guardare al volto dell'altro. Non abbiamo bisogno di tutto ciò che ci viene venduto per poter essere felici: il consumo non ha nulla a che vedere con la felicità. Lavoriamo senza posa per poter pagare tutto ciò che non ci serve veramente e così la vita ci sfugge via. Costruiamo una società che sia capace di guardare all'essenziale, a ciò che veramente arricchisce la vita dell'uomo: le relazioni umane, la natura, la famiglia, gli amici e l'amore. Una società in cui venga rispettata la dignità di ogni essere umano. Un'utopia? Come disse l'antropologa Margaret Mead: "Non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini coscienti e risoluti non possa cambiare il mondo. In fondo è cosi che è sempre andata!".



lunedì 11 novembre 2013

ESISTE LA VERITÀ?


Nella società moderna spesso si tende a dubitare dell'esistenza della verità e ad affermare che essa è relativa poiché legata all'opinione propria o degli altri e alle circostanze storiche in cui essa si afferma. Questo è il risultato di alcune correnti filosofiche dell'ultimo secolo e mezzo che invece di negare l'esistenza della verità, come facevano gli scettici, hanno pensato di ridefinire la verità come qualcosa di relativo privandola così della sua essenza.


E' giusto quindi chiedersi prima di tutto che cosa sia la verità. Da sempre l'uomo ha avuto la tendenza a trasformare una dottrina o teoria esterna (cioè non proveniente dall'esperienza del soggetto) in verità e, partendo da essa, a giudicare la realtà. Tale atteggiamento porta proprio ad affermare la relatività della 'verità' poiché il soggetto accetta l'opinione degli altri senza preoccuparsi di verificarne la realtà fattuale, per cui come un individuo può accettare una dottrina così egli potrebbe anche accettare quella opposta. Bisogna dunque iniziare dall'esperienza personale della realtà. Tuttavia se tale esperienza si basa solo sull'osservazione delle cose e ancor di più se essa non viene confrontata con l'esperienza altrui, finisce per diventare una semplice opinione dell'individuo che non ha nulla in comune con la verità oggettiva. Persino nel caso della conoscenza scientifica, la quale si basa su una serie di osservazioni che vengono poi sperimentate attraverso l'oggettività matematica, sussiste una certa 'relatività' che porta gli stessi scienziati a dubitare di una teoria non appena essa sia stata proclamata come vera.


Ciò non vuol dire che in tutti i tipi di conoscenza sopra menzionati non vi possa essere verità, ma significa che è necessario uno spirito critico che cerchi di ancorare queste conoscenze alla realtà così come essa è veramente, cioè all'essenza delle cose. Quest'ultima può essere conosciuta attraverso un processo intuitivo che richiede non solo particolari capacità intellettive, ma anche un atteggiamento rispettoso nei confronti dell'essere, sincerità, scrupolosità, e sete di verità. Solo una conoscenza essenziale può portarci alla verità. Definiamo quindi la verità come adaequatio rei et intellectus (adeguazione dell'intelletto alla cosa) poiché sono le cose stesse, espresse nella loro essenza, a determinare la verità o meno di una conoscenza.


Una conoscenza che si basa sull'essenza di una cosa sarà sempre valida, poiché l'essenza non cambia (se ciò dovesse accadere, la cosa stessa smetterebbe di esistere), essa porta dunque ad una verità universale cioè valida in ogni tempo ed ogni luogo. Esempi di verità universale sono la differenza aristotelica tra causa efficiente e causa finale, e il fatto che l'uomo sia nato per amare ed essere amato sulla base della sua essenza di 'essere in relazione' (come già discusso nell'articolo "Sarà per amore che vivrai in eterno"). 

Chiamiamo invece 'verità' particolare quella conoscenza che, non basandosi sull'essenza delle cose, è relativa, quindi legata ad una specifica condizione e periodo storico. Tale è per esempio il caso del'omosessualità, sia nell'opinione del movimento gay sia in quella delle diverse religioni, perché in nessuno dei due casi ci si è preoccupati di conoscere l'essenza dell'omosessualità la quale rimane tuttora sconosciuta. Tuttavia entrambi i pareri sull'omosessualità vengono venduti come verità universale. Ciò è successo ripetutamente nel corso della storia ed un esempio è quello della schiavitù ritenuta giusta e difesa come verità da tanti, compreso Aristotele, ma ritenuta inaccettabile ai giorni nostri poiché la libertà è parte della dignità essenziale della persona. E' dunque necessario dubitare di ciò che viene proposto come vero e chiedersi se realmente si basa sull'essenza dell'oggetto in questione. 

giovedì 31 ottobre 2013

LE RIVOLUZIONI INDIVIDUALI


Ogni essere umano, sin dai primi anni di vita, attingendo alla propria esperienza e alle idee che gli vengono comunicate, sviluppa una propria visione del mondo, o per essere più precisi produce o aderisce ad una Weltanschauung (il termine tedesco viene tradotto con "visione del mondo", ma esso possiede una dimensione sovrapersonale, quindi va oltre il punto di vista individuale), cercando così di organizzare la propria esistenza e di trovare il proprio posto in questo mondo. Tale idea su "come vanno le cose" può essere costruita su menzogne (certamente non riconosciute come tali) o su verità, ma solitamente si presenta un miscuglio di esse, ed essa include: l'identità dell'individuo, l'ordine del mondo, l'esistenza o meno di Dio, le regole per relazionarsi, la scala delle priorità, il proprio progetto di vita (queste idee o concezioni in particolare vanno a costituire la struttura portante della propria Weltanschauung e li chiameremo paradigmi) ecc.. fino ad includere l'opinione su ogni persona conosciuta o il giudizio sui singoli avvenimenti. Ogni uomo si muove all'interno della visione del mondo da lui costruita e attraverso di essa opera le proprie scelte.


Tuttavia ogni persona, nel corso della vita, si trova ad affrontare avvenimenti che possono mettere a rischio la propria visione del mondo perché in contrasto con suoi paradigmi. Tali avvenimenti possono per esempio essere la morte di una persona cara, l'entrare a contatto con una povertà estrema, innamorarsi profondamente di una persona e così via; essi saranno diversi per ogni individuo a seconda di quali siano i paradigmi della sua visione del mondo.  Di fronte a questi avvenimenti la singola persona può scegliere di adottare tre diversi atteggiamenti: ignorarli relegandoli nell'inconscio; cercare di giustificarli attraverso il ragionamento, rimanendo all'interno della propria Weltanschauung; cambiare i paradigmi dando origine ad una "rivoluzione individuale" che produrrà una nuova visione del mondo.


Nella vita dell'essere umano avviene dunque ciò che Thomas Kuhn aveva teorizzato per la storia della scienza. Secondo il filosofo statunitense la scienza nel suo processo storico non accumula verità l'una sull'altra, ma essa va sviluppandosi attorno a delle idee principali che chiama paradigmi. Nei periodo di "scienza normale" gli scienziati sviluppano delle nuove teorie che non vanno ad intaccare il paradigma. In seguito vi sono delle scoperte che mettono in crisi il sistema scientifico costruito, portando a "rivoluzioni scientifiche" durante le quali viene generato un nuovo paradigma. L'esempio più rappresentativo è quello del sistema copernicano che andò a sostituire quello aristotelico-tolemaico, rivoluzionando così la scienza di quel periodo storico.


La scienza, con il suo metodo e il suo procedere storico verso la verità, diventa dunque esempio per un corretto sviluppo dell'essere umano e per l'individuale cammino verso la verità ed una vita più piena. Come lo scienziato dubita di ciò che è dato per certo e coglie il rischio di sperimentare qualcosa di nuovo che la realtà presenta come vero, così ogni persona trovandosi di fronte ad avvenimenti che contraddicono la propria visione del mondo deve dubitare della veridicità di quest'ultima e prendere il rischio di costruirne una nuova che riesca ad includere anche quegli eventi. 


La vita presenta tuttavia una differenza fondamentale rispetto alla scienza: essa è più profonda, esistenziale e per questo acquista una maggiore drammaticità e radicalità. Per uno scienziato, sperimentare una nuova teoria, significa dedicare molto del suo tempo e faticare molto; ma per un individuo, investire nello sviluppo di una nuova visione del mondo, significa andare in contro alla disgregazione provvisoria della persona stessa, della propria identità e del proprio mondo: significa perdersi temporaneamente, e senza la possibilità di poter tornare indietro alla visione del mondo precedente. Una tale scelta richiede quindi una particolare forza personale e il coraggio degli eroi. E' chiaro, adesso, perché in molti preferiscano sfuggire dalla vita e rimanere rinchiusi nella propria Weltanschauung. Ma quest'ultima decisione porta, nascosto in sé, un pericolo maggiore: quello di non vivere ma di sopravvivere miseramente costruendo tutto su una mezza-verità, il pericolo di non esistere. Il premio, invece, per coloro che avranno scelto di scommettersi sarà alla fine una vita più piena, assaporata fino in fondo e il raggiungimento di una verità più profonda di quella scientifica.

venerdì 25 ottobre 2013

SARA' PER AMORE CHE VIVRAI IN ETERNO


In questo periodo storico in cui viviamo capita spesso di domandarsi che senso abbia continuare a vivere, se esiste ancora qualcosa per cui vivere, cioè qualcosa che costituisca la ragione del proprio vivere. Spesso si risponde a questi interrogativi appigliandosi a ciò che ha maggior valore nella propria vita: la famiglia, l'amore, gli amici, il poter aiutare gli altri e per alcuni ancora la carriera. Ma proprio ciò che ogni uomo vive in questo momento storico sta a mostrare che nessuno di questi elementi può costituire la ragione ultima del proprio vivere, quel 'quid' che dia un senso a tutto il resto: nel momento in cui tutto ciò che utilizziamo per dare un senso alla vita umana si scontra con la morte, perde la propria capacità di offrire un significato. Che senso ha amare, fare del bene o realizzarsi nel lavoro quando poi tutto ha fine?


Ciò non deve lasciare l'uomo sgomento perché la realtà che viviamo e osserviamo ci mostra anche dell'altro. Nel bene, nella bellezza, nella verità, nell'amore e nell'umanità (ogni qualvolta essa dia espressione a questi valori) possiamo scorgere l'esistenza e la promessa dell'eternità. Un animo sensibile sente dentro di  l'eternità ogni qualvolta esso abbia la possibilità di contemplare la bellezza della natura o di aiutare un altro essere umano. E a tutti è dato, quando si ama qualcuno, di sentire che appartiene a quell'amore particolare di durare in eterno. Dunque se è vero che la realtà ci mostra un limite, essa ci fa anche scorgere l'infinito. Ciò significa che solo l'eternità e la lotta dell'uomo per raggiungerla possono realmente dare significato alla vita umana.



E' giusto a questo punto della nostra riflessione chiedersi allora come fare a raggiungere questa eternità. Qui rientra in gioco quello stesso amore che da solo era incapace di fornire un significato alla vita del singolo individuo. Ad ogni vero fenomenologo (ed agli osservatori attenti) non sfuggirà infatti che l'uomo sembra naturalmente nato per amare ed essere amato: un uomo ben nutrito e che possegga tutto ciò che gli fosse necessario ma che non sia amato da nessuno appare come un morto che cammina. E' quindi nell'amore che l'uomo realizza la propria essenza, è amando che l'uomo diventa Uomo. Ne deriva l'importanza primaria dell'amore per l'uomo rispetto agli altri elementi (il bene, la bellezza e la verità).


Ciò non è sufficiente per fare dell'amore il mezzo che ci fa giungere all'eternità: esso deve possedere come caratteristica essenziale la capacità di salvare. Il bene contiene valore salvifico; esso è tuttavia legato ad un agente esterno che faccia corrispondere in premio al bene compiuto la salvezza, il che porrebbe un ulteriore problema (che non sta a noi affrontare in questa sede), cioè la dimostrazione della reale esistenza di un agente esterno. La bellezza contiene solo la capacità di elevarci ad una pura contemplazione dell'eterno, essa non consegna nulla nelle mani dell'uomo se non questa visione. E lo stesso si può affermare della verità che consegna all'intelletto la luce di una conoscenza certa ma che non salva l'uomo (seppur gli sia molto utile). L'amore invece contiene in sé valore salvifico: quando una persona ama un'altra, essa fa l'esperienza del tornare in vita, dell'essere salvati paradossalmente dalla vita stessa. E ciò vale per ogni tipo di amore (sponsale, amicale, genitoriale ecc...), ma per gradi differenti nei quali l'amore sponsale occupa il grado maggiore.


Per questo, in ultima analisi, l'amore in tutte le sue forme costituisce l'unica ragione di vita poiché esso è strettamente legato all'eternità e all'essenza dell'uomo venendo a costituirsi come ponte tra i due.

domenica 20 ottobre 2013

UNA SOCIETA' GIUSTA: RISPETTO PER OGNI PROFESSIONE


Viviamo in una società in cui a tutti è stato più volte consigliato di seguire i propri sogni e che questi ultimi non dovevano essere semplici, ma grandi sogni. Che poi ci vengano forniti i mezzi e insegnato un giusto atteggiamento per perseguirli poco importa. Ma il problema più grande è piuttosto la mentalità che si genera dal voler far passare solo alcuni sogni come validi, cioè come degni di essere sognati. Per cui è giusto sognare di diventare famoso, ma non lo è sognare di diventare panettiere.
Ciò porta ad un atteggiamento per il quale tutti corrono verso la sommità della scala sociale, e questo avviene ad ogni costo fosse anche la perdita della dignità umana. Ma in cima non c'è posto per tutti: il frutto sarà una società frustrata e incattivita.


In una società corretta e realista tutti i sogni dovrebbero essere validati: ogni professione dovrebbe essere degna di essere sognata e perseguita e quindi trattata con il medesimo rispetto. In questa prospettiva sarebbe anche considerato corretto e non un'ingiustizia permettere l'accesso ad ogni singola professione soltanto a chi ne possegga le peculiari capacità.
Ingiusto è piuttosto spingere tutti verso l'alto sapendo che ci sarà posto solo per pochi. Ed è una menzogna sostenere che solo alcuni lavori siano dignitosi e degni di ammirazione.


Per poter realizzare questo obiettivo sarebbe inoltre necessario eliminare la differenza di salario in base alla professione praticata per inserirne una basata sulla quantità di ore lavorative e sulla qualità della performance. Che il premio di tanti anni passati sui libri a studiare per medici, avvocati, ecc, sia la possibilità di praticare la professione che si è sempre sognata e per la quale si è portati e non lauti guadagni.
Il frutto sarebbe una società un po' più giusta, felice, soddisfatta e anche produttiva.