"The unexamined life is not worth living"
Socrates
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mercoledì 14 maggio 2014

PENSIERI SULL' AMORE (1)


L'uomo moderno possiede spesso una visione magica dell'amore come se esso fosse una forza potentissima che afferra totalmente, capace di vincere tutto e di rendere la vita piena. Quest'idea proviene sicuramente dalla corrente del Romanticismo che ancora soffia sulla nostra cultura e da una tipologia di film definiti appunto 'romantici' che nutrono la nostra immaginazione. In seguito ad eventi traumatici riguardanti l'amore- come assistere ad un divorzio o vivere diverse storie d'amore fallimentari- questa idea dell'amore tende a lasciare il posto ad una totale disillusione nei suoi confronti. Tuttavia come insegna Aristotele, la virtù risiede nel mezzo tra gli estremi.

L'idea probabilmente più diffusa a riguardo è che in tutto il mondo vi sia una sola persona che è giusta per un'altra, di cui innamorarsi e con cui essere felici. In inglese si usa infatti l'espressione: "He/She is the one" proprio ad indicare che esiste una sola persona giusta per noi. Per quanto l'idea sia affascinante e commovente, se ciò fosse vero allora la mia felicità e realizzazione come essere umano capace di amare ed essere amato passerebbero attraverso un altro singolo individuo. Ciò significa che se questa persona nella sua libertà decidesse di non impegnarsi nella relazione e quindi di portarla a termine, allora ogni mia possibilità di felicità e realizzazione sarebbe sfumata per sempre. Sicuramente il vero romantico risponderà che la relazione è finita perché non si trattava della persona giusta.

In realtà, guardando alla propria esperienza, ognuno di noi potrà dire di essersi innamorato più volte. Ogni amore desidera vivere in eterno e porta in sé il seme dell'eternità, quindi ognuna delle nostre storie d'amore era destinata a durare per sempre. Quando un amore finisce è perché noi o il nostro partner non ne abbiamo avuto cura o non abbiamo voluto sacrificarci e perseverare e non perchè non si trattava della persona giusta. Così ne consegue che nel mondo non esiste 'the one', ma vi sono più persone delle quali possiamo innamorarci e con cui essere felici, tra le quali dobbiamo sceglierne una con la quale inizare a costruire una vita insieme. Tutto spetta allora a noi stessi e alla propria capacità di amare l'altro.

venerdì 3 gennaio 2014

IL PERDONO


Che cos'è il perdono? La definizione che viene comunemente data asserisce che perdonare è l'atto attraverso il quale la persona dimentica il male ricevuto e rinuncia all'odio e alla vendetta. Ma se si trattasse realmente di un dimenticanza (volontaria o effetto del tempo che passa) allora il perdono si ridurrebbe ad una ignoranza, cioè ad una conoscenza incompleta della persona perdonata e della realtà, la quale invece va sempre affrontata con apertura di spirito e mai evitata. Dunque il perdono dovrà essere frutto di una comprensione profonda dell'altro, dei suoi atti e delle motivazioni e dinamiche che lo hanno spinto a compiere un'azione che ci ha ferito o procurato del male.

Una “comprensione profonda”, cioè un atto che coinvolge sia l'intelletto che il cuore. Come essere umani non siamo sempre capaci di vedere tutte le ragioni che sottendono un'azione e ancor meno di capirle quando il ragionamento è trasportato dalla rabbia e dal dolore; per questo l'uomo non riesce sempre a perdonare. Tuttavia trattandosi di un atto che coinvolge anche il cuore, il perdonare può essere facilitato dal sincero pentimento di colui che reca del male e in modo particolare dall'amore che si nutre per costui. Infatti il perdono appartiene all'amore a causa dell'essenza di quest'ultimo: l'amore è proprio la risposta alla bellezza complessiva di un individuo la quale brilla per colui che ama nonostante i difetti dell'amato.


Proprio perché si tratta di un atto volontario di comprensione e non di semplice dimenticanza, il ricordo del torto ricevuto ritorna alla memoria anche con il passare del tempo, accompagnato dal sentimento di dolore da esso causato; per cui il perdono non sarà mai una fatica definitiva, ma un atto che deve essere costantemente rinnovato.

lunedì 11 novembre 2013

ESISTE LA VERITÀ?


Nella società moderna spesso si tende a dubitare dell'esistenza della verità e ad affermare che essa è relativa poiché legata all'opinione propria o degli altri e alle circostanze storiche in cui essa si afferma. Questo è il risultato di alcune correnti filosofiche dell'ultimo secolo e mezzo che invece di negare l'esistenza della verità, come facevano gli scettici, hanno pensato di ridefinire la verità come qualcosa di relativo privandola così della sua essenza.


E' giusto quindi chiedersi prima di tutto che cosa sia la verità. Da sempre l'uomo ha avuto la tendenza a trasformare una dottrina o teoria esterna (cioè non proveniente dall'esperienza del soggetto) in verità e, partendo da essa, a giudicare la realtà. Tale atteggiamento porta proprio ad affermare la relatività della 'verità' poiché il soggetto accetta l'opinione degli altri senza preoccuparsi di verificarne la realtà fattuale, per cui come un individuo può accettare una dottrina così egli potrebbe anche accettare quella opposta. Bisogna dunque iniziare dall'esperienza personale della realtà. Tuttavia se tale esperienza si basa solo sull'osservazione delle cose e ancor di più se essa non viene confrontata con l'esperienza altrui, finisce per diventare una semplice opinione dell'individuo che non ha nulla in comune con la verità oggettiva. Persino nel caso della conoscenza scientifica, la quale si basa su una serie di osservazioni che vengono poi sperimentate attraverso l'oggettività matematica, sussiste una certa 'relatività' che porta gli stessi scienziati a dubitare di una teoria non appena essa sia stata proclamata come vera.


Ciò non vuol dire che in tutti i tipi di conoscenza sopra menzionati non vi possa essere verità, ma significa che è necessario uno spirito critico che cerchi di ancorare queste conoscenze alla realtà così come essa è veramente, cioè all'essenza delle cose. Quest'ultima può essere conosciuta attraverso un processo intuitivo che richiede non solo particolari capacità intellettive, ma anche un atteggiamento rispettoso nei confronti dell'essere, sincerità, scrupolosità, e sete di verità. Solo una conoscenza essenziale può portarci alla verità. Definiamo quindi la verità come adaequatio rei et intellectus (adeguazione dell'intelletto alla cosa) poiché sono le cose stesse, espresse nella loro essenza, a determinare la verità o meno di una conoscenza.


Una conoscenza che si basa sull'essenza di una cosa sarà sempre valida, poiché l'essenza non cambia (se ciò dovesse accadere, la cosa stessa smetterebbe di esistere), essa porta dunque ad una verità universale cioè valida in ogni tempo ed ogni luogo. Esempi di verità universale sono la differenza aristotelica tra causa efficiente e causa finale, e il fatto che l'uomo sia nato per amare ed essere amato sulla base della sua essenza di 'essere in relazione' (come già discusso nell'articolo "Sarà per amore che vivrai in eterno"). 

Chiamiamo invece 'verità' particolare quella conoscenza che, non basandosi sull'essenza delle cose, è relativa, quindi legata ad una specifica condizione e periodo storico. Tale è per esempio il caso del'omosessualità, sia nell'opinione del movimento gay sia in quella delle diverse religioni, perché in nessuno dei due casi ci si è preoccupati di conoscere l'essenza dell'omosessualità la quale rimane tuttora sconosciuta. Tuttavia entrambi i pareri sull'omosessualità vengono venduti come verità universale. Ciò è successo ripetutamente nel corso della storia ed un esempio è quello della schiavitù ritenuta giusta e difesa come verità da tanti, compreso Aristotele, ma ritenuta inaccettabile ai giorni nostri poiché la libertà è parte della dignità essenziale della persona. E' dunque necessario dubitare di ciò che viene proposto come vero e chiedersi se realmente si basa sull'essenza dell'oggetto in questione. 

venerdì 25 ottobre 2013

SARA' PER AMORE CHE VIVRAI IN ETERNO


In questo periodo storico in cui viviamo capita spesso di domandarsi che senso abbia continuare a vivere, se esiste ancora qualcosa per cui vivere, cioè qualcosa che costituisca la ragione del proprio vivere. Spesso si risponde a questi interrogativi appigliandosi a ciò che ha maggior valore nella propria vita: la famiglia, l'amore, gli amici, il poter aiutare gli altri e per alcuni ancora la carriera. Ma proprio ciò che ogni uomo vive in questo momento storico sta a mostrare che nessuno di questi elementi può costituire la ragione ultima del proprio vivere, quel 'quid' che dia un senso a tutto il resto: nel momento in cui tutto ciò che utilizziamo per dare un senso alla vita umana si scontra con la morte, perde la propria capacità di offrire un significato. Che senso ha amare, fare del bene o realizzarsi nel lavoro quando poi tutto ha fine?


Ciò non deve lasciare l'uomo sgomento perché la realtà che viviamo e osserviamo ci mostra anche dell'altro. Nel bene, nella bellezza, nella verità, nell'amore e nell'umanità (ogni qualvolta essa dia espressione a questi valori) possiamo scorgere l'esistenza e la promessa dell'eternità. Un animo sensibile sente dentro di  l'eternità ogni qualvolta esso abbia la possibilità di contemplare la bellezza della natura o di aiutare un altro essere umano. E a tutti è dato, quando si ama qualcuno, di sentire che appartiene a quell'amore particolare di durare in eterno. Dunque se è vero che la realtà ci mostra un limite, essa ci fa anche scorgere l'infinito. Ciò significa che solo l'eternità e la lotta dell'uomo per raggiungerla possono realmente dare significato alla vita umana.



E' giusto a questo punto della nostra riflessione chiedersi allora come fare a raggiungere questa eternità. Qui rientra in gioco quello stesso amore che da solo era incapace di fornire un significato alla vita del singolo individuo. Ad ogni vero fenomenologo (ed agli osservatori attenti) non sfuggirà infatti che l'uomo sembra naturalmente nato per amare ed essere amato: un uomo ben nutrito e che possegga tutto ciò che gli fosse necessario ma che non sia amato da nessuno appare come un morto che cammina. E' quindi nell'amore che l'uomo realizza la propria essenza, è amando che l'uomo diventa Uomo. Ne deriva l'importanza primaria dell'amore per l'uomo rispetto agli altri elementi (il bene, la bellezza e la verità).


Ciò non è sufficiente per fare dell'amore il mezzo che ci fa giungere all'eternità: esso deve possedere come caratteristica essenziale la capacità di salvare. Il bene contiene valore salvifico; esso è tuttavia legato ad un agente esterno che faccia corrispondere in premio al bene compiuto la salvezza, il che porrebbe un ulteriore problema (che non sta a noi affrontare in questa sede), cioè la dimostrazione della reale esistenza di un agente esterno. La bellezza contiene solo la capacità di elevarci ad una pura contemplazione dell'eterno, essa non consegna nulla nelle mani dell'uomo se non questa visione. E lo stesso si può affermare della verità che consegna all'intelletto la luce di una conoscenza certa ma che non salva l'uomo (seppur gli sia molto utile). L'amore invece contiene in sé valore salvifico: quando una persona ama un'altra, essa fa l'esperienza del tornare in vita, dell'essere salvati paradossalmente dalla vita stessa. E ciò vale per ogni tipo di amore (sponsale, amicale, genitoriale ecc...), ma per gradi differenti nei quali l'amore sponsale occupa il grado maggiore.


Per questo, in ultima analisi, l'amore in tutte le sue forme costituisce l'unica ragione di vita poiché esso è strettamente legato all'eternità e all'essenza dell'uomo venendo a costituirsi come ponte tra i due.